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Come le informazioni personali si trasformano in informazioni commerciali: il caso delle app gratuite

Gratis è bello, gratis attira. Chi possiede uno smartphone molto probabilmente avrà cercato sugli appositi Store, quali Google Play, Play e App delle applicazioni per utilità o svago, a costi contenuti o, meglio ancora, a costo zero. Ce ne sono molte, moltissime e con altrettanti download da dispositivi Ios e Android.

 

Facciamo luce

Si prenda come esempio la app torcia, gratuita, appunto. Questa consente di trasformare il flash al led presente nella maggior parte degli smartphone di oggi in una luce potente, proprio come una torcia. L’utilità è evidente: se salta la luce in casa non è più necessario ricorrere alle candele o alla sola luce dello schermo del cellulare, esattamente come non c’è più bisogno di passare minuti interminabili a cercare le chiavi nella borsa (per le donne) o la toppa se il pianerottolo è buio…

 

Nell’ombra

Bene: da una simile app ci si aspetta quindi che abbia accesso solamente alla funzione del flash/led.

Eppure un difetto esiste, perché quando si decide di installarla, il sistema richiede l’accesso a informazioni e caratteristiche che esulano dalla mera funzionalità dell’illuminazione. Informazioni personali, in particolare, che possono essere facilmente tradotte in informazioni commerciali da utilizzare a scopi promozionali e pubblicitari. Una società che opera nel settore della sicurezza informatica ha rilevato che ciò accade almeno per dieci delle app torcia più scaricate al momento.

 

Gli studi

Ma non è solo questa la app che inganna: una ricerca di un’università americana ha dimostrato che ce ne sono molte altre, fino ad arrivare approssimativamente a un centinaio. Fra queste: Backgrounds HD Wallpaper, Brightest Flashlight, Dictionary.com, Google Maps, Horoscope, Mouse Trap, Pandora, Shazam, Talking Tom Virtual Pet e Talking Tom domandano molti dati personali e accesso a funzionalità dei dispositivi. Cosa che, se in alcuni casi ha senso ai fini del buon funzionamento dell’applicazione, in molti altri le informazioni sono del tutto accessorie.

Una ricerca cinese ha analizzato 1400 app maggiormente scaricate dal Google Play Store, rilevando che quasi il 70% di esse registra i dati personali dei proprietari dei dispositivi: e non è nemmeno detto che si decida sempre di usarli come informazioni commerciali, poiché nel 35% viene fatto senza un motivo evidente.

 

Le informazioni e il loro utilizzo

Chi sta dietro a queste applicazioni ricava dati non solo del possessore del dispositivo, ma anche del dispositivo stesso. Quindi può:

  • Usare il GPS per rilevarne la posizione e gli spostamenti.
  • Avere accesso alla fotocamera, con possibilità di scattare foto e fare video.
  • Leggere, scrivere e cancellare file (compresi SMS, MMS, e-mail e messaggi istantanei).
  • Consultare la rubrica.
  • Telefonare.
  • Sfruttare le risorse di rete.
  • Connettersi a internet, visualizzando le reti disponibili.

 

Controlli

Questa situazione ha messo in allarme una società governativa americana che monitora il comportamento di aziende e società, poiché la gratuità economica delle app nasconde ai consumatori un pagamento in termini di privacy e sicurezza dei dati, a fronte del quale il consenso informato ha valenza pressoché nulla.

Anche un’altra società che si occupa della sicurezza dei dati in rete ha manifestato la sua preoccupazione, perché oltre che alla trasformazione in informazioni commerciali, questa tendenza può essere sfruttata anche da hacker informatici e cybercriminali.

 

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